Eravamo io, Mitch e Tito Agnoli
Il furgone blu azzurrino di Baravantan sobbalzava su una strada sterrata, lasciando dietro di sé una nuvola di polvere dorata. La radio gracchiava una vecchia canzone dimenticata, la melodia perfetta per la giornata. Baravantan era un raccoglitore di storie, un cercatore di tesori e, soprattutto, un uomo con un occhio per ciò che gli altri non vedevano. Non collezionava oggetti di lusso, ma piuttosto cose che avevano una storia da raccontare: un vecchio mappamondo ammaccato, un libro con le pagine ingiallite da appunti a mano, o una sedia con il legno consumato da anni di conversazioni. La sua casa era una sorta di museo vivente, ogni oggetto un capitolo di un racconto più grande.
Quel giorno, l’avventura lo aveva portato a casa di un suo amico, un ragazzo di nome Mitch, che aveva appena acquistato una vecchia casa in collina. “Baravantan,” gli aveva detto Mitch al telefono, “devi venire a vedere questo posto. È un disastro, ma ha del potenziale. E il vecchio proprietario ha lasciato un sacco di roba.”
Arrivato a destinazione, Baravantan si trovò di fronte a un’antica dimora, con le persiane sbiadite e l’intonaco che si sgretolava, ma con un’aria di dignità silenziosa. All’interno, il caos regnava sovrano: mobili coperti da teli bianchi, scatole impilate fino al soffitto, e la polvere che danzava pigramente nei raggi di luce che penetravano dalle finestre sporche.
Leo lo accolse con un sorriso stanco. “Ti avevo avvertito,” disse, scuotendo la testa. “Ci sono ancora un paio di stanze che devo svuotare.” Insieme, iniziarono a esplorare l’edificio. Baravantan, con la sua consueta lentezza, passò la mano sulle pareti, sentendo il respiro della casa. La sua mente era sempre alla ricerca di dettagli, di indizi che rivelassero la vita che c’era stata lì prima.
Mentre Mitch si lamentava della quantità di lavoro da fare, la sua attenzione fu catturata da una forma insolita sul muro esterno sotto il porticato della casa. Lì, quasi nascoste nell’ombra e ricoperte da uno spesso strato di polvere, c’erano tre lampade da parete. A un occhio inesperto sembravano solo vecchi apparecchi arrugginiti, ma Baravantan notò immediatamente il loro design elegante e la particolare forma del vetro. Si avvicinò, soffiò via la polvere e la sua mano si posò delicatamente sul vetro cilindrico a coste.
Era vetro di Fresnel, la stessa tecnologia usata per le lenti dei fari, e la sua mente fece subito un collegamento. La forma, il design minimale, l’eleganza degli anni ’60: erano delle lampade Oluce, disegnate da un maestro del design, Tito Agnoli. Erano le Oluce Aplique, un pezzo di storia del design che molti avrebbero scambiato per roba da buttare.
“Mitch,” chiamò, la voce bassa e piena di un’emozione contenuta. “Hai visto queste?”
Mitch si avvicinò, strofinando la polvere dagli occhi. “Quella vecchia ferraglia? Sì, ne ho viste un paio. Sono in pessime condizioni, pensavo di buttarle.”
Baravantan sorrise, un sorriso che era metà felicità e metà tristezza per la mancanza di visione del suo amico. “Mitch, queste non sono vecchia ferraglia. Sono tesori. Pezzi unici di design.”
Mitch, stupito, scosse la testa. “Per me puoi portarle via, Baravantan. Se ti piacciono così tanto, sono tue.”
Con cura, Baravantan smontò le lampade dal muro. Ogni bullone, ogni cavo, ogni granello di polvere sembrava far parte di un rituale. Le ripulì con un panno, e sotto la sporcizia, il vetro di Fresnel riacquistò la sua trasparenza, creando un gioco di luci e ombre che sembrava una promessa di storie future.
Mentre tornava verso il furgone con le lampade avvolte in una coperta, pensò a quanto fosse facile camminare per il mondo senza vedere veramente. I tesori, le storie, la bellezza, non erano sempre in luoghi esotici o in contenitori luccicanti. Erano spesso nascosti in bella vista, mascherati da un po’ di polvere, un po’ di ruggine, o un po’ di disattenzione. La sua giornata era stata un promemoria che avere occhio e osservare che i tesori si nascondono ovunque. Bastava solo fermarsi, guardare con il cuore, e lasciare che la magia delle storie dimenticate ti trovasse.
C’è un oggetto che hai in casa e che, a un’occhiata superficiale, potrebbe sembrare inutile ma che per te ha un valore speciale o una storia da raccontare?